Investire sul "dove" o sul "chi", dare più importanza alla visibilità o alla performance, affidarsi alle logiche del Programmatic Advertisment o alla profilazione di Facebook e Google Display? Queste le domande su cui ci siamo interrogati nel settimanale incontro di aggiornamento #GoodwillInTraining, coordinato questa settimana dalla nostra collega Sara.
Negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente le possibilità e le tipologie di advertisment: dal display, al contextual, dal remarketing fino al programmatic. Quest'ultima in modo particolare si è affermata grazie alle logiche di automatizzazione nella pianificazione dei messaggi pubblicitari online, avvalendosi di piattaforme tecnologiche estremamente performanti che mettono in comunicazione diretta buyer e seller.
Ma quanto può essere interessante fare programmatic? Tutto dipende dagli obiettivi: se l'utilizzo dei display online "tradizionali" è legato maggiormente ad una questione di awareness, il programmatic punta più sulla performance, permettendo l'erogazione di banner e content (anche articoli e messaggi informativi) su un’audience interessata nel momento in cui è più ricettiva. Bisogna tuttavia tenere in considerazione l'invasività di banner e skin rispetto, ad esempio, ad un post sponsorizzato su Facebook: gli utenti potrebbero considerare il messaggio così posizionato come invadente, e rifiutarlo a priori.
Molti sono state le considerazioni emerse durante la riunione, in cui abbiamo esplorato dati e tematiche annesse, nonché case histories relative a diverse tipologie di clienti e settori merceologici. L'impegno che ci siamo proposti è stato quello di andare al di là della lettura dei meri dati relativi alle campagne per capire il reale livello di efficacia di questo strumento e riuscire ad utilizzarlo al meglio all'interno delle strategie di comunicazione.